sabato 18 agosto 2012

Pit Stop "In un batter di ciglia"


In un batter di ciglia                                                  20 agosto 1982             20 agosto 2012


Ottavia parcheggiò un’altra volta il suo presente, lasciando che passo e pensiero la conducessero consapevole nel suo indimenticato passato. Per quasi due ore camminò senza fretta, tra calle, campielli e fondamenta veneziane, lontano dai circuiti turistici, in quella Venezia conosciuta solo dai suoi intimi abitanti. Giornata di fine novembre, umida e uggiosa. La foschia proveniente dalla laguna avvolgeva paesaggio e anima. Ottavia avvertì che il suo piede e la sua mente reclamavano ora riposo mentre lo sguardo cadeva per caso sull’insegna un po’ sbiadita di un caffè. Nell’aprirne la porta, la foschia della calle scivolò nel locale, invadendone furtiva ogni angolo segreto. Passando davanti al banco, si fermò ad ordinare alla barista dagli occhi grigi e il volto di porcellana bianca, due tazze di caffè d’orzo con una scorza d’arancio. Si sedette poi ad uno dei pochi tavolini del locale e aspettò che l’algida e silente barista le portasse l’ordinazione. Pochi gli avventori, e in pochi minuti i caffè fumanti furono depositati sul tavolo. Due, uno di fronte all’altro, due. La barista tentò inutilmente di piantare il suo sguardo interrogativo e gelidoin quello già altrove di Ottavia, ma dovette tornarsene senza alcuna risposta dietro il suo banco, tra tazze e cucchiaini. 

In un batter di ciglia lui fu lì. Lo trovò bene Ottavia, molto meglio di quell’ultima volta quando lui stava per andarsene, con quel suo viso da uccellino spaventato e quella estrema magrezza del corpo, aggrappato a quella sedia di plastica e ferro, sul terrazzo della camera dell’ospedale, in una mattina di metà agosto. Adesso stava proprio bene nei suoi settantasette anni ben portati, la testa canuta, gli occhi azzurro cielo, gli abiti da campagna. Se la mente di lei avesse potuto parlare, emettere dei suoni, quante parole ne sarebbero uscite. Ma per adesso riusciva soltanto a guardarselo rapita, a stringerlo a se con le braccia del pensiero, a imprigionarlo tutto in un immacolato ricordo. Solo questo per adesso, di più non poteva. Quell’attimo travolgente e doloroso era già troppo per poter continuare a raccontarsi. 

In un batter di ciglia di nuovo lei, soltanto lei, e i due caffè sul tavolino. Zuccherò e bevve il suo ormai troppo tiepido, mentre la foschia si diradava veloce e la barista, ora dagli occhi verde mare e la pelle ambrata, portava via dal tavolino la tazza, quella vuota. Ottavia pagò le due consumazioni e uscì. Come sempre c’era Andrea la fuori che l’aspettava, per continuare ad accompagnarla instancabile nel suo, nel loro presente.  
                                                                                                  

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